La Corte di Cassazione con Ordinanza n. 30866/2023 è recentemente intervenuta in tema di querela del datore di lavoro da parte del lavoratore.
I fatti a monte della decisione sono relativi alla denuncia da parte di un lavoratore della società datrice di lavoro e del suo rappresentante legale per appropriazione indebita del TFR.
I giudici di merito avevano ritenuto che la denuncia evidenziasse una condotta dolosa in relazione a fatti pacificamente non veritieri. In particolare, la condotta del lavoratore non era diretta ad ottenere l’eventuale condanna del datore di lavoro, ma aveva come unico fine quello di ledere l’onore e la rispettabilità del legale rappresentante della società.
Secondo la Corte d’appello l’avere denunciato un’indebita appropriazione del Tfr con la piena consapevolezza della non veridicità della condotta denunciata integra gli estremi del licenziamento per giusta causa, anche a prescindere dall’effettiva sussistenza di un danno (considerato che la denuncia del lavoratore era stata archiviata definitivamente).
Secondo la S.C., se da un lato l'esercizio del potere di denuncia (e in generale del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro) non può essere di per se' fonte di responsabilità, dall’altro, esso può divenire tale qualora il privato faccia ricorso ai pubblici poteri in maniera strumentale e distorta, ossia agendo nella piena consapevolezza dell'insussistenza dell'illecito o dell’estraneità allo stesso dell'incolpato.
L'addebito contestato al lavoratore non è collegato alla configurazione di reato di calunnia o diffamazione, ma alla diversa ipotesi di abuso del processo, ossia strumentalizzazione dello stesso con l’esclusivo fine di arrecare danno al datore di lavoro, desunto, quest’ultimo, dalla consapevole omissione di circostanze significative nella descrizione dei fatti.
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