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Martedì, 03 Luglio 2018 15:17

DL dignità: CONFINDUSTRIA, segnale molto negativo per le imprese

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Comunicato stampa
DL DIGNITA': CONFINDUSTRIA, SEGNALE MOLTO NEGATIVO PER IMPRESE
Così più incerto e imprevedibile quadro regole

Roma, 3 luglio 2018 - Il decreto-legge "dignità" approvato ieri è il primo vero atto collegiale del nuovo Esecutivo e, anche per questo, è un segnale molto negativo per il mondo delle imprese.
Questo il primo commento di Confindustria sulle decisioni assunte ieri dal Consiglio dei Ministri.
Come abbiamo sempre sostenuto – prosegue Confindustria – sono infatti le imprese che creano il lavoro. Le regole possono favorire o scoraggiare i processi di sviluppo e hanno la funzione di accompagnare i cambiamenti in atto, anche nel mercato del lavoro. Si dovrebbe perciò intervenire sulle regole quando è necessario per tener conto di questi cambiamenti e, soprattutto, degli effetti prodotti da quelle precedenti.
Il contrario di ciò che è avvenuto col decreto "dignità". Mentre infatti i dati ISTAT raccontano un mercato del lavoro in crescita, il Governo innesta la retromarcia rispetto ad alcune innovazioni che hanno contribuito a quella crescita. Peraltro, le nuove regole saranno poco utili rispetto all'obiettivo dichiarato – contrastare la precarietà – perché l'incidenza dei contratti a termine sul totale degli occupati è, in Italia, in linea con la media europea.
Il risultato sarà di avere meno lavoro, non meno precarietà.
Preoccupa anche che siano le imprese a pagare il prezzo di un'interminabile corsa elettorale all'interno della maggioranza e che si creino i presupposti per dividere gli attori del mercato del lavoro, col rischio di riproporre vecchie contrapposizioni.
Valutazioni analoghe anche per la stretta in tema di delocalizzazioni. L'Italia è un grande Paese industriale, la seconda potenza manifatturiera in Europa dopo la Germania, e avrebbe bisogno di regole per attrarre gli investimenti, interni ed esteri. Quelle scritte ieri, invece, gli investimenti rischiano di disincentivarli.
Sia chiaro: colpire duramente i comportamenti opportunistici di chi assume un impegno con lo Stato e poi non lo mantiene è un obiettivo che condividiamo. Ma revocare gli incentivi per colpire situazioni di effettiva distrazione di attività produttive e di basi occupazionali dall'Italia è un conto; altro è, invece, disegnare regole punitive e dalla portata tanto ampia quanto generica
L'unico denominatore comune delle scelte fatte in tema di lavoro e delocalizzazioni è di rendere più incerto e imprevedibile il quadro delle regole in cui operano le imprese italiane: l'esatto contrario delle finalità di semplificazione e snellimento burocratico dichiarate dal nuovo Governo all'atto del suo insediamento.

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Nota tecnica

Contratto a termine

La durata "ordinaria" del contratto a termine viene ridotta da 36 a 12 mesi.
Viene teoricamente prevista la possibilità che il contratto a termine possa avere una durata più lunga, ma comunque con un termine massimo di 24 mesi, ma le condizioni che dovrebbero consentire questo ipotetico prolungamento sono sostanzialmente irrealizzabili, oltrechè assolutamente indeterminate e, quindi, incerte e, pertanto, pienamente esposte all'intervento "interpretativo" dei giudici.
Ciò perchè occorrerebbe che l'impresa riuscisse a prevedere, con un anticipo di 12 mesi ( ossia al momento della sottoscrizione del contratto) il verificarsi di "esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività" ovvero "esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell'attività ordinaria".
E' prevista la possibilità di sottoscrivere contratti a termine "sostitutivi" pur nei limiti temporali suddetti
Proroghe e rinnovi oltre i dodici mesi di rapporto sono sottoposti alla condizione del verificarsi delle stesse esigenze sopra ricordate.
Le proroghe sono ridotte da 5 a 4 ma nei primi 12 mesi di rapporto le proroghe sono libere
Il termine per impugnare i contratti a tempo determinato è elevato da 120 a 180 giorni.
Le nuove norme si applicano solo ai contratti a termine stipulati dopo l'entrata in vigore del decreto legge nonchè alle proroghe e rinnovi riguardanti contratti in corso.
Al contrario della prima formulazione delle norma, i contratti a termine per ragioni stagionali sono esenti dal limite massimo di durata.
Viene aumentato dello 0,50% il contributo aggiuntivo, a sostegno della disoccupazione, dovuto in caso di contratto a termine: l'aumento è progressivo nel senso che si aggiunge uno 0,5% ulteriore ad ogni rinnovo.

Somministrazione di lavoro

La normazione è complessivamente migliorata rispetto alla prima versione del decreto, in quanto non è più prevista l'abrogazione della somministrazione a tempo indeterminato e non è più previsto che il numero dei lavoratori somministrati si conteggi nei limiti numerici fissati dalla legge e dai contratti.
Resta però il fatto che il contratto di lavoro a termine che le agenzie per il lavoro stipuleranno con i singoli lavoratori da inviare in missione presso le imprese utilizzatrici è soggetto agli stessi limiti di durata e alle stesse limitazioni su proroghe e rinnovi previste per il contratto a tempo determinato.
I contratti a termine stipulati dalle agenzie per il lavoro non sono soggetti alla normativa sulla precedenza nelle riassunzioni e al limite del numero massimo di contratti a termine stipulabili dalla singola agenzia per il lavoro.

Licenziamenti

Le mensilità minime e massime, legate alla anzianità di servizio del lavoratore, da corrispondere in caso di licenziamento dichiarato illegittimo sono aumentate del 50% passando a sei e trentasei mensilità ( rispetto a 4 e 24 )
Non viene invece modificata la norma che, a rigore è logicamente correlata, sulla misura delle mensilità dovute in caso di "offerta conciliativa".

Delocalizzazioni

E' confermata la scelta di dedicare quattro diverse norme al tema: una di portata generale sulla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti; un'altra dedicata alla tutela occupazionale e le altre due ai temi specifici dell'iper ammortamento e del credito d'imposta ricerca.
Su queste ultime due non ci sono sostanziali novità. Gli aspetti salienti sono: (i) un meccanismo di recupero dell'iper ammortamento in caso di cessione o di destinazione del bene agevolato a strutture produttive estere appartenenti alla medesima impresa (senza alcuna distinzione dei paesi di destinazione tra Stati extra UE e UE). L'unica novità è che la misura non ha carattere retroattivo; (ii) per la concessione del credito d'imposta ricerca, si escludono i costi sostenuti per l'acquisto infragruppo - anche in licenza - dei beni immateriali. In questo caso, la nuova misura si applica già a decorrere dal periodo d'imposta in corso.
Di seguito alcune notazioni sulle prime due misure.

Limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti
L'ambito di applicazione è ampio, in quanto comprende tutti gli aiuti di Stato erogati alle imprese per gli investimenti, indipendentemente dalla relativa forma (es. contributi, finanziamenti agevolati, sistema delle garanzie pubbliche).
Inoltre, alcuni dei presupposti delle misure risultano poco chiari e suscettibili di interpretazioni disomogenee (es. concetto di attività analoga oggetto di delocalizzazione), anche perché la loro declinazione è rimessa alle singole amministrazioni erogatrici.
Rispetto alle prime formulazioni, però, l'ultima bozza disponibile del decreto contiene alcuni correttivi che ne riducono, in parte, i potenziali impatti negativi sul tessuto produttivo. In particolare:
· il vincolo temporale di mantenimento delle attività oggetto di benefici è ridotto a 5 anni rispetto ai 10 previsti nelle prime bozze;
· sono state individuate due fattispecie diverse di delocalizzazione: (i) la prima riguarda quelle al di fuori dell'UE, rispetto alle quali – in caso di decadenza dai benefici – si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria (sproporzionata) da due a quattro volte l'importo del beneficio; (ii) la seconda è relativa agli aiuti di Stato attribuiti per l'effettuazione di investimenti produttivi "specificamente localizzati" (es. credito d'imposta Sud), per i quali è prevista la revoca in caso di delocalizzazione fuori dallo specifico ambito territoriale. La delocalizzazione rileva in questo caso in caso di trasferimento dell'attività sia all'interno del territorio nazionale, sia in ambito europeo;
· l'applicazione delle nuove misure non dovrebbe avere carattere retroattivo e, ai benefici già concessi prima dell'entrata in vigore del decreto, verrebbe applicata la disciplina previgente (legge di stabilità 2014, che prevede obblighi di restituzione dei contributi in conto capitale in caso di delocalizzazione extra UE, entro tre anni, dal sito produttivo incentivato con contestuale riduzione del personale di almeno il 50%).
Con riferimento alla prima fattispecie (delocalizzazioni extra-UE), la bozza prevede che la delocalizzazione debba riguardare "l'attività economica interessata dal beneficio ovvero un'attività analoga o una loro parte". Questa formulazione è generica e di difficile attuazione, considerando che generalmente i benefici sono piuttosto riconducibili al singolo bene o alla singola attività sovvenzionata e non all'intera attività produttiva dell'impresa.

Tutela dell'occupazione nelle imprese beneficiarie di aiuti

Anche in questo caso l'ultima bozza disponibile del decreto contiene degli elementi nuovi che limitano la portata della revoca – totale o parziale – dei benefici.
In particolare, ferma la necessità di chiarire la portata applicativa della "misure di aiuto di Stato operanti nel territorio nazionale che prevedono la valutazione dell'impatto occupazionale", sono stati previsti dei correttivi in base ai quali: (i) la riduzione dei livelli occupazionali diviene rilevante - ai fini della decadenza dal beneficio - se superiore al 10%; (ii) il beneficio è revocato in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale; (iii) se la riduzione è superiore al 50%, la revoca del beneficio è totale.
Inoltre, la misura sembrerebbe escludere dalla riduzione dei livelli occupazionali i "casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo". La migliore interpretazione dell'inciso, che comunque presenta profili di ambiguità, è che non contribuiscano a determinare la revoca dei benefici i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo. Conseguentemente, secondo questa interpretazione, contribuirebbero alla determinazione delle soglie previste dalla disposizione i soli licenziamenti collettivi.
Positiva poi la riduzione dell'arco temporale di riferimento da 10 a 5 anni, anche se non è chiaro il momento a partire dal quale decorre il termine. Viene, infatti, fatto riferimento "alla data di completamento dell'investimento", ma il tipo di beneficio non sempre sembra avere ad oggetto un vero e proprio investimento da parte dell'impresa.
Positiva anche l'introduzione della disposizione che fa salvi i benefici già concessi prima dell'entrata in vigore del decreto.
Resta, infine, anche in questo caso il problema dell'eccessiva discrezionalità affidata alle amministrazioni erogatrici dei benefici tanto sotto il profilo della corretta applicazione della norma quanto con riferimento alle modalità, tempi e procedure dell'eventuale revoca.

Ultima modifica il Mercoledì, 04 Luglio 2018 13:07
Laura Federicis

Coordinatore Area Relazioni Istituzionali e Comunicazione
Relazioni Istituzionali, Comunicazione,
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